Senza quartiere

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Autore: Fiorentino Stornajuolo
Titolo: Senza quartiere. La lotta della CEKA
Collana: I Masnadieri
Prezzo: 14,00€

“La CEKA non è semplicemente un organo investigativo, è l’organo di battaglia del partito [...]: elimina senza processo e allontana dalla società mediante la reclusione nei campi di concentramento [...] Nell’interrogare, è secondario cercare le prove delle parole e delle azioni dell’accusato contro il potere sovietico. Le prime domande da porsi e da porre sono: ‘costui, a quale classe appartiene? Qual è la sua istruzione, educazione, origine, professione?’ Sono queste domande a decidere il destino dell’accusato: è questo il senso e l’essenza del terrore rosso. La CEKA non giudica il nemico, lo colpisce.”

(Martin Lacis, vicepresidente della CEKA, 1920.)

Cento anni fa, attraverso l’insurrezione di ottobre, l’Impero russo assumeva una nuova configurazione nel paesaggio delle forme della politica mondiale. Due furono i fondatori della nuova conformazione, Lenin e Dzerzinskij: Lenin, uomo che non esitava a trasformare i punti dell’ideologia in linee di risoluzioni; Dzerzinskij, uomo che non aveva paura di convertire le risoluzioni in direttive e in fatti. Straordinario stratega il primo, incomune tattico il secondo, tenaci entrambi nel condurre le battaglie, e assicurare le vittorie, della rivoluzione bolscevica senza finte e ambiguità da “ambulanti della parola”, concentrarono la disposizione d’animo del proprio séguito sulle regole del codice semplice del miliziano ‒ che è il codice naturale del militaris vir, l’uomo il quale porta le armi per vincere.

Le Edizioni di Ar ricordano il centenario della rivoluzione bolscevìca dedicando un’agile biografia a Felix Dzerzinskij, il fondatore necessario della CEKA. Quale fu l’elemento essenziale che animava quell’uomo, rivoluzionario di professione e di confessione e per vocazione? Secondo l’Autore di “Senza quartiere. La lotta della CEKA”, ad agire in Dzerzinskij fu l’ardente passione per la ‘promessa del regno’, la sua fervida, quasi religiosa, attesa operativa dell’avvento del regnum Dei con l’assetto che la rivoluzione avrebbe suscitato. Nicolàs Gòmez Dàvila affermava che “in guerra predominano la violenza, la crudeltà, la barbarie; in pace, l’astuzia, l’inganno, l’intrigo”. E concludeva il suo catalogo con la domanda cruciale: “scegliere, sarà poi tanto facile?”. Nel drammatico tentativo di troncare le peripezie della storia, mediante la cruenta inserzione nel suo divenire di una rivoluzione-provvidenza-redenzione, Felix Dzerzinskij diede la risposta propria, quella a lui conforme, e operò di conseguenza. Anche da parte di quanti al suo regno, religioso e trascendente, della storia come redenzione, contrappongono quello loro, immanente e libero, della storia come volontà dell’immutabile vero, ossia il regno della Natura, gli va riconosciuta la qualità ‒ già ieri straordinaria, oggi eclissatasi ‒ di essere stato ‘uomo di conseguenza’. Per onorarne la memoria e quella delle sue vittime sacrificali, la statua di Felix Dzerzinskij sulla piazza Lubianka andrebbe ripristinata: sarebbe non tanto un ‘resto’ quanto un vestigio della civiltà europea. Potrebbe suggerirlo lo stesso Patriarcato di Mosca, che ha riconosciuto il sacrificio dello Czar Nicola II santificandolo…