Autore: Kurt Hildebrandt
Titolo: Platone – La lotta dello spirito per la potenza
Collana: Paganitas
Prezzo: 45,00€
Nota biografica
Nato a Firenze nel 1881, Kurt Hildebrandt è tra quei fedelissimi discepoli di Stefan George che nel 1912, nel terzo ed ultimo numero del loro “jahrbuch fuer die geistige bewegung”, dichiarano apertamente la loro battaglia contro il “mondo americano, il mondo delle formiche”, prima che “attraverso commercio, giornali, scuola, fabbrica e caserma” esso si installi definitivamente [cfr. la prefazione a Stefan George, Poesie, in questa stessa collana “Paganitas”, a p. 18; poi, sul rapporto di George con Platone, la tarda lirica leib und seele (corpo e anima), alle pp. 198-9]. Sempre nel 1912, dà alle stampe il Simposio, la prima di una serie di sue versioni platoniche per l’editore Meiner; del 1933 è il presente Platon, del 1939 il saggio su Hoelderlin. Philosophie und Dichtung. Agli anni successivi appartengono invece lo studio sull’opera di George (i960) e i ricordi sul poeta e la sua cerchia (l965). Muore nel 1966 a Kiel.
“IL MONDO MODERNO È UNA SOLLEVAZIONE CONTRO PLATONE” —questa la lapidaria costernazione di Nicolas Gómez Dàvila. Una insurrezione che si potrebbe ricondurre, e ridurre, all’insolente avversione della bella vita (quella dei malvagi) per la vita bella (quella dei buoni). Si consulta l’oracolo per interpretarne il responso, si interroga Platone, il veggente, perché dia la risposta. ‘Si’, ovvero noi, consultiamo interroghiamo interpretiamo Platone giacché, per carsica costituzione e risorgiva vocazione, nella controversia ci schieriamo contro la modernità. Siccome la nostra presa di posizione si esaurisce in una scrittura (in una aspersione d’inchiostro…), il contrasto si fa, qui, ‘discussione’, ma questa non intende scadere a disputa fittizia, retorica. Se mai è eco di “clangor di trombe e nitrir di cavalli” nel ciclo di quella guerra metastorica che la cerchia degli dèi inferi muove agli dèi superni.
Riconoscendoci nella desolata versione dell’Autore ispanico, ci soccorre però, e ci affranca dalla tentazione della tristitia, il ricordo delle parole di Bernardo di Chiaravalle: “Habet mundus iste noctes suas sed non paucas” —cui corrisponde “die andringende Weltnacht”, la notte del mondo, in agguato per avventarsi, di Kurt Hildebrandt. Parole medievali, tutte e in tutti i sensi e, nel loro fondo, rassicuranti: il ritmo, il ‘giorno’, del tempo degli uomini, se richiede le notti con le loro tenebre esige i dì con le loro luci…
Prima delle notti in cui stiamo annichilendoci, nelle terre del Sol Calante ci fu, tra lampi temporaleschi, un imbrunire: Vespero si mostrava —e l’imbrunire si diffondeva a tingere delle proprie sfumature anche i petti degli uomini, ovvero le uniformi indossate da costoro per coprire (a guisa non di pettorine, se mai di pettorali agonali) la ‘parte superiore’ del proprio corpo. La stessa sollevazione-rivolta contro Platone fu allora temporaneamente sedata. A sedarla contribuì anche Kurt Hildebrandt, il quale ‘prese posizione’ rivestendo la camicia bruna —una ‘investitura’ che tuttavia non costringeva nella tessitura annessionistica di questa camicia la dedizione sincera di Hildebrandt ai “pensier speculativi” di Platone.
A quasi un secolo di distanza dalla sua apparizione (e dalla MACHTERGREIFUNG del fascismo tedesco con l’avvento del Tiranno-Verführer Adolf Hitler), la lettura del Platone di Hildebrandt si applica a un testo capitale per reinterpretare, in consonanza con la ideologia del nazionalsocialismo (o, piuttosto, con il pensiero del Führer, vera cerniera tra i settori, e le sètte, della variegata BEWEGUNG), la rivelazione, e la configurazione, del ‘volontarismo’ politico di Platone. Ovvero di un insegnamento, quello di Platone, che è eminentemente filosofia politica, è furor philosophicus ‘eroticamente ’ congiunto con furor politicus: proteso a fondare Kallìpolis, la città bella che, se vuole stare quale rocca della bellezza al di sopra del tempo, deve affermare la ‘innocenza’ del proprio essere escludendo quella del suo divenire, affermarsi quindi senza assoggettarsi al tempo —“affrancata dal tempo, tanto dallo spirito, quanto dal timore, del tempo”—, e dimostrarsi perciò pronta ad affrontare quest’ultimo. Di un ordinamento volto a stabilire la “vita bella”, a istituire la giustizia della selezione, dunque, con l’obiettivo di governare la città dei buoni, di allevare, essenzialmente, chi voglia “essere uomo”. Una lettura di conferma e conforto: per chi, non accontentandosi di amare o odiare da ánthropos banausikós, ossessionato dalla voglia di esercitare il potere sugli altri in nome del proprio individualismo (di origine pur sempre democratica), aspiri a pensare. Per sapere, da anèr politikós, della intemporale “lotta dello spirito”: con la volontà di esercitarsi alla potenza su di sé, per purificarsi e comporsi in conformità al significato intimo, al “modo dorico”, del precetto dell’Apollo delfico.
Ar