Leopardi: dialogo tra un giovane favoloso e il mondo moderno

Dopo aver avuto l’idea di guardare un film dal titolo tanto bello quanto discutibile ne è il contenuto – “Il Giovane Favoloso” –, viene spontaneo precipitarsi davanti allo scaffale della propria libreria e andare a rileggere il Leopardi vero, per cercare di ritrovare il nord della sua poetica e della sua figura. E disfarsi del saporaccio delle interpretazioni.

Purtroppo, il prezzo che si trovano a pagare le grandi personalità approdate ai libri di storia o alle antologie è quello di passare attraverso il mulino della modernità, che li prende e li disfa facendone altro da quello che sono. Per la legge delle similitudini, la modernità non può che riconoscere con fastidio chi le è per natura distante. Il castigo che di solito riserva ai grandi è di due tipi: o li schiaccia sotto un masso di silenzio e oblio, quando il loro pensiero e i loro argomenti sono davvero troppo imperdonabili anche per essere alterati, oppure, come succede in quelle inquietanti sale degli specchi in cui ti sembra di perderti, li modifica, assottiglia e distorce, fino a renderli dei mostriciattoli. Filosofi, scienziati e generali vengono utilizzati come nobili cavie; poeti, musici e scrittori trasformati nella versione d’alto bordo di utili idioti, e gli uni e gli altri li troviamo impegnati di volta in volta a dimostrare l’importanza della solidarietà, il valore dell’integrazione, la lotta ai pregiudizi, perfino quando di certi temi non aveva il minimo senso parlare. Così, può anche succedere che un giovane davvero favoloso, che ha passato la propria vita nella maniera più aristocratica e anti-mondana possibile, in 145 minuti venga trasformato in un appassionato e un po’ allucinato difensore della democrazia con qualche evidente difficoltà mentale.

L’oggi ha bisogno di confusione, di ruoli, di temi, di vita: la confusione livella, facilita, rende possibile tutto e indispensabile niente. Evita la concentrazione, che si accompagna alla verità. Non c’è nulla che inquieti il moderno più della verità, alla quale dichiara una guerra instancabile.

Oltre allo studio dell’originale, un antidoto da assumere dopo la visione del film può essere costituito dalla lettura del saggio di Giuseppe De Lorenzo, Leopardi e Schopenhauer. Attraverso la presentazione del diffuso carteggio tra Schopenhauer e l’amico-discepolo Adam Ludwig von Doss, che per primo gli propose la lettura dell’Italiano, a partire dalle Operette e dai Pensieri, emerge a poco a poco, in controluce e soffuso, eppure intenso, il ritratto di questo enfant prodige del pessimismo in grande stile. Di questo “notevole sprezzatore del mondo”, come scrive Doss al suo maestro, “le cui considerazioni ora ricordano i punti più avvincenti del quarto libro della Sua opera capitale e dei sutta buddhistici, ed ora gareggiano con le fini riflessioni dell’uomo di mondo, scintillanti d’insuperata determinatezza d’espressione […] sulle debolezze e manchevolezze dell’umana natura”. Di quel “nobile ed elegante italiano”, dalla “forza d’osservazione infinitamente fina, e mai smussata dalla grande copia di dotte cognizioni, da lui posseduta” che “dimostra, nella vita e nelle aspirazioni dell’uomo e nel dominio dell’intera natura, come sia penoso far parte di essa”. Di quel “più giovane e infelice fratello” di Schopenhauer che se ne andò dal mondo prima di lui e prima che si fossero mai incontrati lasciandogli, da lontano, solo l’incisione del proprio volto spento sull’edizione di un volume del 1856 che il Tedesco si predisponeva a leggere.

Ultimo grande tragico, portatore, dal piccolo della sua Recanati, della fiaccola di un divino disincanto e di un’ironica consapevolezza degli uomini che, pur nei suoi sarcasmi, non gli rendeva più lieve la tragedia, ma la faceva pesare ancora di più sulle sue spalle fragili.

C’è più intreccio, fotografia e musica in queste poche lettere dell’Ottocento, mute e scritte a mano, però sincere e brillanti di ammirazione, che nelle brillanti tecnologie e negli effetti speciali di chi non voglia raccontare ma solo fare sincera pubblicità alla propria ideologia.

21-11-2014