Premessa: in una intervista concessa al Primato Nazionale, parlando dell’Europa come terra della differenza, ho accennato al multipolarismo delle poleis greche. Colgo, adesso, l’occasione per ritornare brevemente, in nota, su quel punto, per poi svilupparlo ulteriormente a proposito dell’età ellenistica. Il fine è quello di dare un altro piccolo contributo, sempre in chiave ‘genealogica’, alla ricostruzione della storia tormentata del nostro continente.
Rispetto al multipolarismo delle poleis greche[1], è indubbia la vocazione universalistica dell’impero di Alessandro Magno[2], mutuata dal modello achemenide, a sua volta probabilmente poggiante, ma è un’ipotesi tutta da verificare, sull’espansionismo imperiale assiro[3]. Il ‘programma’ di Alessandro trova conferma nelle inequivocabili parole di Plutarco: “[Alessandro] condusse a unità le cose più svariate, mescolando come in una coppa dell’amicizia le vite e i costumi e i matrimoni e i modi di vivere; egli ordinò che tutti ritenessero come patria l’intera ecumene […]. Egli volle rendere tutto ciò che è sulla terra soggetto a una sola legge e a una sola città e che tutti gli uomini si mostrassero come un solo popolo” (De Alex. fort. 329 C-D).
Nondimeno, se le imprese di Alessandro hanno prodotto una koiné culturale omogenea[4], che ha spesso indotto interpreti in vena di forzature attualizzanti, a parlare addirittura di globalizzazione ante litteram e di melting pot in relazione all’età ellenistica[5], è altrettanto certo che, dal punto di vista politico, il mondo ellenistico si è irrimediabilmente frammentato già alla morte del grande macedone.
I motivi di tale esito storico-politico vanno ricercati in una serie di cause, la più importante delle quali va forse individuata nel particolare criterio di legittimità ‘regale’ vigente nel mondo ellenistico, che ha favorito non poco le spinte centrifughe e la ricerca da parte dei Diadochi di un potere personale. Infatti, al di là dei vari epiteti riservati ai sovrani (come Sotér, Salvatore, o Euerghetes, Benefattore), e delle diverse nozioni impiegate per definire l’essenza della regalità (il sovrano come ‘legge incarnata’, la divinizzazione della figura regale, la regalità intesa come ‘onorevole servizio’ reso alla comunità dei sudditi), è indubbio che “la legittimazione necessaria alla sussistenza di una regalità era quella che derivava dalla vittoria militare: il sovrano è, prima e sopra di tutto, un guerriero vittorioso, che – come già Alessandro che resta il modello insuperato di condottiero – domina un ‘territorio conquistato con la lancia’, espressione che si ritrova spesso […] per indicare la sottomissione di una regione a un potere monarchico”[6].
Detto altrimenti, l’assenza di una chiara legittimità dinastica, il carattere di ‘esperimento’ (in quanto tale, difficilmente riproducibile) dell’impero di Alessandro, il fatto che già il figlio di Filippo II avesse basato le sue conquiste ‘sulla lancia’, cioè sulle vittorie militari, hanno finito per spingere da subito i Diadochi (che, non lo si dimentichi, erano tutti capi militari, con la sola eccezione di Eumene di Cardia) a mettere in discussione l’unità imperiale. Al riguardo, è emblematico il fallimento di Perdicca (e poi di Antigono) di tenere in qualche modo coese le immense conquiste di Alessandro, puntando sul criterio dinastico e sull’affidamento agli altri Diadochi del ruolo (subalterno) di satrapi; di conseguenza, il convegno di Triparadiso, successivo all’assassinio di Perdicca, è già il segno chiarissimo dell’avvenuta disgregazione dei domini di Alessandro. Le vicende ulteriori, costellate da innumerevoli guerre tra i Diadochi e dall’assunzione da parte di quest’ultimi del titolo di re, sanciranno, in maniera definitiva, l’irreversibile declino del sogno ‘ecumenico’ di Alessandro[7] e la contestuale nascita di un mondo multipolare (suddiviso in tre grandi monarchie, quella macedone, quella dei Lagidi in Egitto e quella seleucide in Asia minore, e in una serie di potentati minori tra i quali finirà per emergere la dinastia degli Attalidi di Pergamo) destinato a tramontare solo con l’ascesa[8] di Roma.
Giovanni Damiano
1-08-2015
[1] Non concordo con quanto sostenuto da Cinzia Bearzot, ossia che di multipolarismo si può parlare solo nel contesto del IV secolo, cioè dopo la fine del ‘sistema bipolare’ del secolo precedente, imperniato sull’egemonia spartano-ateniese (cfr. C. Bearzot, Il federalismo greco, il Mulino, Bologna 2014, p. 102). Come giustamente notato da Cesa, la Grecia del V secolo dà vita non a un sistema bipolare ma piuttosto a una “polarizzazione del sistema multipolare” (M. Cesa, Le ragioni della forza. Tucidide e la teoria delle relazioni internazionali, il Mulino, Bologna 1994, p. 53).
[2] Su cui mi sono soffermato nello scritto “Figure della dismisura”, pubblicato in G. Damiano, L’emozione genealogica, Edizioni di Ar, Padova 2015, pp. 65-74.
[3] Illuminante il passo seguente: “il tempio di Assur e il palazzo reale ricevettero nomi che sintetizzavano in forma breve e programmatica l’aspirazione all’egemonia universale del dio e del re: Ekurmesharra (’santuario della totalità’) e Egalmesharra (‘palazzo della totalità’)” (E. Cancik-Kirschbaum, Gli assiri, il Mulino, Bologna 2007, p. 54).
[4] Pur se non priva di resistenze, come quella dell’ebraismo non diasporico, culminata nella rivolta asmonea.
[5] Si veda, a titolo di esempio, il giudizio di Hans-Joachim Gehrke riportato in F. Landucci Gattinoni, L’ellenismo, il Mulino, Bologna 2010, p. 10, tra l’altro, smentito, almeno in parte, dalla stessa autrice quando ricorda la persistenza in età ellenistica dell’endogamia civica, cioè del matrimonio tra membri della medesima comunità (cfr. ivi, p. 46). Ciò non toglie che la Landucci abbia a sua volta parlato di “forte tendenza alla globalizzazione” del mondo ellenistico (F. Landucci, Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni, Laterza, Roma-Bari 2014, p. 177).
[6] F. Landucci Gattinoni, L’ellenismo, cit., p. 35.
[7] Per una rigorosa ricostruzione dello scenario successivo alla morte di Alessandro si veda F. Landucci, Il testamento di Alessandro. La Grecia dall’Impero ai Regni, cit. La Landucci, a ragione, ritiene che già l’accordo intervenuto tra i Diadochi a Triparadiso abbia non solo cancellato la “politica orientalizzante perseguita da Alessandro nei suoi ultimi anni di regno”, ma soprattutto posto le basi “del nuovo assetto geopolitico del mondo ellenistico” (ivi, p. 31).
[8] Spesso, però, giustificata da ragioni di carattere ‘reattivo’, e ciò vale anche nel caso del primo scontro della repubblica romana con una potenza ellenistica, ovvero il regno macedone; sull’argomento si veda J. Thornton, Le guerre macedoniche, Carocci, Roma 2014, pp. 49-50 e 59-60. Secondo Thornton, un Senato “riluttante e fedele alla linea tradizionale del disinteresse per l’Oriente” (p. 60) avrebbe deciso a favore dell’intervento armato solo a seguito degli appelli di Rodi e Pergamo, a loro volta motivati dal patto antitolemaico siglato tra Filippo V di Macedonia e Antioco III di Siria, accordo che metteva in pericolo gli equilibri dell’intero sistema multipolare.