E’ vero che senza soldi non mangi e se non mangi il calo di zuccheri arriva. Che se non ti vesti a sufficienza c’è il rischio della polmonite o degli atti osceni in luogo pubblico. Che un solido patrimonio ben meritato può permetterti di coltivare il ‘pathos della distanza’ con tutto quello che ne consegue in decenza quotidiana. Che se il patrimonio fosse veramente ragguardevole potresti arrischiarti, se fossi persona retta, a fare davvero qualcosa per migliorare il mondo (le cose vanno talmente maluccio che non ci vorrebbe poi molto). Ma che è ‘sto piagnisteo post-manovra? Di cosa stiamo parlando? C’è qualcuno che rischia di restare senza mangiare? C’è qualcuno che potrebbe non riuscire più a pagarsi la ricarica per il cellulare? C’è qualcuno che teme di non poter arrivare al terzo quarto quinto giro di rossi o di birre al bar con gli amici e di doversi contentare di uno? Il dramma è questo, è tutto qui?
O la si mette nei termini in cui la metteva “La disintegrazione del sistema” (questo sistema non fa che promuovere gerarchie indegne e oligarchie senza meriti e perciò va completamente sovvertito), o tutti questi guaiti di indignazione contingente sono solo smorfiessi puerili. Il male andrebbe estirpato alla radice. L’assetto di questo mondo andrebbe ripensato completamente.
Intanto, vediamo di imparare la decente sopportazione: la dignità. Vediamo di concentrarci. Di evitare di dissipare le nostre qualità nella retorica dell’indignazione. Andiamo per la nostra via. Facciamo bene le cose di oggi, sempre meglio. Smettiamola di sbraitare e pensiamo. Magari ci viene qualche buona idea. Ma non gridiamola subito ai quattro venti. Studiamola, consideriamola. E poi aspettiamo la faglia, che a quel punto si formerà, è certo. “Anche i pensieri – diceva Novalis – sono fattori efficaci dell’universo.” I pensieri, però: non la lagna.
07/12/2011